Il suicidio: vissuti, emozioni.

Percorsi di approfondimento per operatori dei servizi psichiatrici

L’accadere di un suicidio – un giovane studente che si toglie la vita, un paziente oncologico, in fase di aggravamento, che nel corso del ricovero si uccide sottraendosi all’attenzione di medici e infermieri – è evento che scuote le coscienze. Nessuno rimane indifferente. Ci si interroga su quali errori siano stati commessi, su quali segnali si sarebbero dovuti cogliere. Cosa non si è saputo ascoltare, vedere, capire. Per qualche tempo il suicida, attraverso la propria morte, dà una forma concreta al dolore e lo proietta nell’ambiente: la scuola, il reparto ospedaliero. Il dolore diventa palpabile attraverso la reazione che suscita nei docenti, nel personale non docente, nei compagni, nelle famiglie, o nel personale sanitario. Il suicidio così scuote e smuove, commuove. Non in tutti certo, c’è anche chi rimuove negando e giudicando. In ogni caso il suicidio pretende una risposta da chi resta: talora per tacitare la coscienza e attenuare le colpe, talaltra per colmare il senso di vuoto lasciato da ciò che non si comprende e non si lascia comprendere, e mitigare l’angoscia suscitata dall’impotenza. L’evento assume una rilevanza traumatica che richiede spazi mentali per intendere e elaborare. Alla solitudine del suicidio si contrappone l’esigenza di condividere, di porre in comune i vissuti, le emozioni, i pensieri che sembra difficile, se non impossibile pensare. 

Considerato a lungo peccato e reato [si pensi che solo nel 1961 è stato depenalizzato nel Regno Unito, e che nel mondo è perseguito ancora in 20 stati] come molti comportamenti umani, una volta uscito dall’ambito della legge è entrato in quello della psichiatria, come ricorda Thomas SZASZ nella prefazione alla seconda edizione italiana del Suicidio e l’anima, il ben noto e rivoluzionario testo di James Hillman. Processo di migrazione, come è noto, iniziato nell’ottocento (Cfr. Jean-Étienne Dominique Esquirol, Des Maladies mentales,1838), muovendo via via dal controllo come fine, alla cura empatica. Oggi, in una nemesi enantiodromica, in alcuni paesi (Belgio, Olanda) la psichiatria si trova ad affrontare il dilemma etico della morte assistita nei pazienti psichiatrici. Così lo psichiatra, lo psicologo, l’operatore psichiatrico vengono a trovarsi in una situazione ancora più complessa che porta ad interrogativi ancora più angoscianti e drammatici.

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Qui trovate il filmato del convegno con l'intervento del Prof. Eugenio Torre

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