I drammatici anni della pandemia hanno rappresentato per l’intera società una sfida terribile. Gli operatori della sanità, i volontari che li hanno affiancati, trovandosi al centro della tempesta, hanno dovuto fare fronte, se possibile, a prove ancora più difficili, costose sul piano emotivo e personale. Sono esperienze che hanno toccato profondamente chi le ha vissute e patite; dinnanzi alle quali molti hanno dovuto ridefinire priorità e valori di riferimento.
Numerosi studi hanno evidenziato la fatica psicologica vissuta dagli operatori sanitari. Nel corso di una ricerca qualitativa condotta in Australia su più di diecimila sanitari sono state raccolte significative testimonianze. Una infermiera di area chirurgica raccontava di vivere tra due mondi: <<Il mondo di coloro che lavorano nel settore sanitario e comprendono lo stress di lavorare in un ambiente COVID e il mondo di quelli che non lo fanno>> e proseguiva: <<sento che se le persone sapessero cosa significhi lavorare nella costante paura di trasmettere il virus ai propri cari, penserebbe in modo diverso riguardo alle restrizioni sul modo in cui viviamo … temo che la mia famiglia non capisca la pressione a cui sono sottoposta ogni giorno>>. Ovunque nel mondo, le persone che hanno assistito i pazienti negli ospedali, nelle RSA e nella comunità hanno dovuto affrontare pesanti carichi di lavoro, gestire grandi volumi di nuove informazioni, apprendere rinnovate pratiche e attività, ricoprire differenti ruoli, sostenere ricollocazioni o fasi di precarietà del lavoro, vivere prolungati periodi di separazione dai propri cari, accettare maggiori rischi per la vita e la salute propria e dei membri della famiglia.
In particolare quest’ultimo aspetto ha posto gli operatori dinnanzi a complessi dilemmi etici. <<Ho attraversato tutte le fasi del lutto della Kübler-Ross>> ricordava un’altra infermiera: <<Sono ansiosa, ma cerco di reggere. Ho paura, ma mi faccio coraggio e ho fiducia nelle mie competenze. Se non avessi paura, sarei preoccupata>>. L’isolamento sociale, inoltre, ha avuto ricadute importanti sulla qualità della vita delle popolazioni colpite dalla pandemia, con una significativa influenza anche sulla salute mentale
Ci siamo chiesti quale impatto il covid possa avere avuto sui volontari della Croce Verde di Torino, che hanno garantito il funzionamento del 118 nel corso delle diverse fasi pandemiche. Lo stress vissuto dai volontari era in qualche misura assimilabile a quello degli operatori sanitari o era qualitativamente e quantitativamente differente? E ancora, era paragonabile a quello vissuto dalla popolazione in generale?
A tal fine abbiamo avviato un primo processo di valutazione dei livelli di stress sperimentato dai volontari della Croce Verde. Il test era compilabile online, ed anonimo. L’invito era inizialmente indirizzato ai responsabili di squadra che lo avrebbero quindi esteso ai membri. La popolazione teorica di riferimento era di circa 1400 volontari, ma nel corso della pandemia il numero di volontari realmente operativi si era ridotto a circa 500. L’obiettivo era di acquisire dati per successivi percorsi formativi, e avviare ulteriori riflessioni sugli eventi vissuti per aggiungere dati qualitativi ai dati quantitativi così raccolti. I test, validati a livello internazionale, erano brevi e di facile compilazione. Hanno compilato i test 247 operatori (65,2% maschi, età media 46+16, media degli anni trascorsi in Croce Verde 13,22+12,4)
Il primo test (PSS 14 di Cohen, Kamarch e Mermelstein, 1983) valuta il livello di stress percepito. La scala è uno degli strumenti più diffusi per misurare lo stress psicologico. È un questionario di autovalutazione costruito per quantificare il grado in cui gli individui valutano le situazioni della loro vita come stressanti e come l’esistenza sia stata condizionata dagli eventi in un determinato periodo. Il PANAS (Positive and Negative Affect Schedule di Watson, Clark, e Tellegen, 1988) è il secondo test utilizzato. È costituito da due sezioni di dieci item l’una che descrivono differenti sentimenti e emozioni e valutano gli stati emotivi positivi e negativi. Il 68,4% dei soggetti che hanno compilato i test hanno evidenziato un livello di stress basso o intermedio, il 31,6% uno stress elevato. Il confronto tra le scale degli affetti positivi e negativi misurate dal PANAS ha evidenziato una media significativamente più elevata della scala positiva rispetto alla scala degli affetti negativi (X=35,21+6,5 vs X=19+6,5 p<0,0001).
I dati rilevano, tra i volontari attivi nelle diverse fasi pandemiche, una condizione di stress non paragonabile a quella evidenziata tra gli operatori sanitari. Il quadro appare più attenuato. Verosimilmente la partecipazione volontaria, i carichi di lavoro non aumentati, la disponibilità dei dpi (si operava solo se in sicurezza), il senso di appartenenza al gruppo e l’identità di gruppo hanno svolto un ruolo protettivo. Per altro il livello di stress sembra anche attenuato rispetto alla popolazione generale. In questo caso si può pensare al ruolo socializzante del gruppo in un momento in cui si era obbligati all’isolamento, a vivere all’interno di bolle monadiche. Inoltre gli operatori della Croce Verde acquisivano, in quei momenti, informazioni più dirette sulla situazione complessiva e al senso di impotenza generale opponevano “il fare” vigile, attento, “un fare” che li gratificava e coinvolgeva, li faceva sentire attivi e orgogliosi (stati emotivi evidenziati al PANAS).
In conclusione
La situazione non appare paragonabile con i vissuti degli operatori sanitari
Il livello di stress sembra in una certa misura attenuato anche rispetto alla popolazione generale
Senso di appartenenza
Forza del gruppo
Senso del fare che si oppone all’impotenza
Resilienza